La battaglia di San Francesco
Allievi e combattenti qui riuniti
state a sentire le nobili gesta
dei fanti e dei soldati infreddoliti
che fieri si abbatterono in tempesta
contro il Sant’Anna e lottarono arditi
dinanzi alla condotta disonesta
di tal vile avversario animalesco
quella sera in piazza San Francesco.
Chiedo umile dall’alto ispirazione
affinché io possa divenir cantore
di questa antica e savia tradizione
che ogn’anno vien guidata con ardore
dall’audace ministro, incarnazione
terrena del voler del Gran Priore.
A te mi prostro e dedico quest’ode,
a te che sei del valore custode.
Calata era la notte tra i palazzi,
dei canti riecheggiava la città,
vibraron del Sant’Anna gli schiamazzi,
i prodi frombolieri pronti già.
Al Carducci gli intrepidi ragazzi
gonfiavan gavettoni tra gli urrà,
mentr’altri con fatica e pena immensa
finivan le patate della mensa.
Marciavano i giovani soldati
esaltati e con impeto cantavano,
solo di scudi e di coraggio armati
i carrelli e il trabucco trasportavano.
I più anziani di gloria assetati
contro il turpe nemico li guidavano
pensando a quella sevizia ridicola
che spetta alla santannina matricola.
Scorreva nero l’Arno sotto il ponte
e bianchi e azzurri avanzavano i fanti,
le onde turbinose all’orizzonte
nella memoria i gelidi idranti,
lieti e vivaci in marcia verso il fronte
con loro trombe e tamburi esultanti.
Giunsero poi sul campo di battaglia
dove già stava l’ostile marmaglia.
Le matricole, misere e infelici,
dell’ignobile armata santannina
costrette da quell’ora di nemici,
al pari di indifesa selvaggina,
a reggere gli scudi, tristi auspici
di sofferenza e angoscia genuina:
il rosso come denso sangue scuro,
il blu come un cadavere ormai impuro.
Di fronte a loro uniti si schierarono
le fiere truppe dell’alta Normale,
al cielo i candidi scudi levarono
perché vedesse l’infido rivale
il celeste vessillo che stamparono,
ché fosse contro l'abietto uno strale,
nelle profondità di quel collegio
che della forgia gode il privilegio.
E proprio in quel momento atto impuro
dagli empi santannini fu commesso,
immorale non solo ma proibito
da leggi che firmò il Sant’Anna stesso!
Arduo è narrare ciò che fu eseguito,
non vi furon condanna né processo,
che basti la mia voce come accusa:
propizia sorte sia a loro preclusa.
Parlavano ministri e generali
inanzi il principio della lotta
quand’ecco che quei perfidi rivali,
incuranti dell’onestà condotta,
traversarono il campo, e sleali
trafugaron gli scudi e fecer rotta
verso lo scellerato schieramento
causando così ovunque un gran fermento.
Invan della Normale protestarono
le truppe, sordo l'altro battaglione,
invan contro l'iniquo si scontrarono
con rabbia, ma anche un po' di compassione
per quei poveri stolti che tentarono,
folli, di dimostrar di aver ragione.
Gli impavidi, incuranti dell’offesa,
fecero in campo la loro discesa.
Ebbe così la pugna inizio infine,
i turpi santannini già rabbiosi
e con gesta e con grida belluine
misero in mostra gli animi gelosi
di medici e ingegneri che a decine
tentarono in Normale speranzosi,
ma di cotal onor non furon degni
i loro insufficienti e scarsi ingegni.
Furon scagliati i primi gavettoni
da lanciatori forti e braccia esperte
mentre dal cielo lampi e cupi tuoni
facevano brillar con luci incerte
i soldati gridanti a pien polmoni,
gli umidi scudi e le facce scoperte
di chi, sciocco, scordava che anche un forte
palloncin può condurre ad una morte.
Tonfi dell’acqua e voci concitate
si univan al clamore dello scontro,
da un lato le matricole bagnate,
dall’altro le testuggin loro contro
bianche e azzurre avanzavano armate,
e nelle retrovie chi per l’incontro
ancor si preparava trasportando
i carrelli e il trabucco sistemando.
La guerra proseguì dura e spietata,
ghiacciati gavettoni sugli scudi
scoppiavano e la plastica piegata
strappava e lacerava i molli e nudi
palmi; ci fu una faccia che graffiata
di sangue gocciolante con dei crudi
gesti fu medicata e allor poté
nella mischia tornar, nel freddo, ahimè.
E alla fine squillò il sonoro corno
segnando la chiusura del conflitto,
dinanzi i santannini a quello scorno
si scagliaron con animo un po’ afflitto
sperando di lavar l’onta del giorno,
sopruso che credevan loro inflitto,
agendo contro gli altri con violenza,
soprattutto, direi, senza decenza.
Non sortì la veemenza alcun effetto,
dunque fecero i miseri un gran piano:
“Se anche non li battiamo in modo retto,
si potrebbe provar come un villano,
andiamo in Carovana, intento gretto,
facciamoci una foto non invano
e raccontiamo ai nostri amici allora
che a vincer fummo nöi in men di un’ora”.
Partirono in gran fretta quegli stolti,
verso l’illustre palazzo diretti
lasciando i prodi allievi sì sconvolti
a raccattare i resti che gli inetti
nella lor fuga non avean raccolti
e degli spettatori anche interdetti
per questo orribile atto irrispettoso
compiuto dall’esercito invidioso.
Ciononostante il giorno successivo
parlarono i felloni in un articolo
della loro vittoria, gesto privo
di senso, della verità pericolo,
ignobile e codardo tentativo,
che alla fine si copre di ridicolo,
di guadagnar prestigio senza doti
apparendo soltanto come idioti.
Ed eccoci alla fine del racconto
caro pubblico e affezionata gente,
descritto ho solo un singolo confronto
perché è quello adesso più recente,
ma affinché non ricapiti l’affronto
vi scongiuro, tenete bene a mente:
“I vincitori scrivono la storia,
gli altri reclaman sul giornal la gloria".
-Anonimo imparziale